Ciao Paolorossi,
mi chiamo Fabrício de Souza, sono nato il 5 luglio 1982 a Imbituba, 40.000 anime, stato di Santa Caterina, sud del Brasile. Ho fatto il calciatore, ho iniziato nel Centro de Futebol Zico, proprio a Imbituba. Ho avuto una bella carriera, sai? Ho vinto un campionato brasiliano con il Corinthians, poi ho giocato nel Cruzeiro, nel San Paolo, anche se quello che davvero non posso dimenticare sono quelle tre partite in cui ho indossato la maglia verderoro della Nazionale Under 23.
Paolorossi, ti voglio raccontare che ero un
centrocampista, come il fondatore della mia scuola calcio,
Arthur Antunes Coimbra detto Zico, O Galinho, il Pelè bianco,
la risposta brasiliana a Maradona.
Caro
Paolorossi, tu non hai idea quanto io abbia ammirato
Zico, anche se non l’ho mai visto giocare dal vivo. Quando ha
smesso nel Flamengo, avevo sette anni. Poi è andato in
Giappone e io andavo nella scuola calcio fondata da lui. Ho
visto tanti suoi filmati, tanti video: tu lo sai,
Paolorossi, come tirava lui le punizioni, nessuno mai.
Che eleganza con quel numero 10 sulle spalle, nel Flamengo, in
Nazionale e anche in Italia, con l’Udinese. Ho visto su
internet una tua bella foto con lui, in Italia: Zico con la
maglia dell’Udinese, tu con quella della Juventus. Ah,
l’Italia. Non ci sono mai stato, mi piacerebbe. Deve essere un
bel posto, anche se per me “Italia” significa
“dolore”. Ed è colpa tua, Paolorossi. Sono nato
il 5 luglio 1982, il giorno di
Brasile-Italia
al Mondiale in Spagna,
tu e Zico
eravate in campo nella partita del Sarrià. Qui da noi, in
realtà, non si dice “la partita del Sarrià”, si dice
“la tragedia del Sarrià”. Mi ha detto mio padre che
sarebbe bastata una punizione, che Gentile ha maltrattato Zico
tutto il tempo. Che poi “gentile” non vuol dire amável
in italiano? Invece lo ha maltrattato per tutta la partita,
bastava fischiare una punizione al momento giusto e O Galinho
avrebbe messo tutto a posto.
Soprattutto sarebbe bastato che tu, il numero 20, e quegli scarpini cosi piccini, non foste baciati da Deus, quel giorno. Paolorossi, non ti ho mai incontrato, non ti ho conosciuto, però ti devo raccontare che sono nato il 5 luglio 1982 e a casa mia piangevano tutti. Io piangevo come tutti i bambini che vengono al mondo e i miei genitori, i miei zii, tutta la mia famiglia piangeva e non dalla felicità. Piangeva tutto il Brasile, in realtà. Meu Deus, sono nato in uno dei giorni più tristi della storia della mia Patria Amada. Ci pensi ad essere nato il 16 luglio del 1950, il giorno del Maracanazo? Pensi a un bimbo nato l’8 luglio 2014, il giorno del Mineirazo? Ogni generazione ha la sua tragedia, il giorno in cui sono nato io, però, in campo c’era una delle nazionali brasiliane più amate di sempre: il capitano Sócrates, o calcanhar que a bola pediu a Deus, Toninho Cerezo, Falcão, Éder, Zico. Che squadra! I miei genitori mi hanno detto che tutti pensavano che quel Mondiale fosse già vinto, poi sei comparso tu, in campo, Paolorossi.
Se ti avessi incontrare ti avrei detto che è brutto essere nato nel giorno in cui tutto il tuo Paese soffre e che non vorrà ricordare mai più, molto brutto. È brutto essere nato in un giorno maledetto. È brutto essere nato nel giorno in cui hai fatto piangere i miei genitori, hai fatto piangere Zico, hai fatto piangere il Brasile.
Però, Paolorossi, ti invidio. A me, da calciatore, non è mai
capitato un giorno con quel tuo stato di grazia. A me, da
calciatore, non è mai capitato di regalare una gioia così
immensa a tutto un Paese, però sono stato un atleta, capisco
perfettamente che cosa quel giorno hai provato tu e cosa hai
regalato a tutti gli Italiani. Il giorno più bello della tua
vita è stato il più brutto della mia, ed era il primo. Mi hai,
in qualche modo insegnato che ad ogni dolore, da qualche parte
nel mondo, corrisponde una gioia simmetrica. Da qualche parte
qualcuno muore e, in quell’istante, un bambino nasce. Da
qualche parte qualcuno piange e, in quell’istante, qualcuno
urla dalla felicità.
Tu nei hai regalata tanta, campeão, ne avresti meritata di più.
Ti detesto e ti voglio bene da morire, Paolorossi.
Tuo, Fabrício
“Il tacco che la palla chiese a Dio”