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PAOLO ROSSI, L'UOMO CHE TRASFORMAVA TUTTO IN LEGGENDA (ANCHE UN CARTONCINO DI LATTE E CACAO)

Ha fatto giri strani, Paolo. Salite, cadute, retromarce, curve a gomito. La strada liscia non l’ha mai conosciuta. Si è trovato a fare i conti con gli inciampi del destino, e non sempre col pallone tra i piedi. Ma ha tenuto botta. Ha incassato, ha fatto silenzio, ha stretto i denti. E quando sembrava finita, ha ricominciato. Perché quando il pallone ti batte dentro come un secondo cuore, restare fermo è un tormento.

E lui, che aveva i piedi gentili e la testa lucida, non poteva stare fermo. Era nato per stare in campo, per muoversi un attimo prima degli altri, per vedere spazi dove tutti vedevano muri. Era costruito così: un organismo calibrato sulla meraviglia.

Poi arriva l’estate delle estati. Spagna ‘82. L’azzurro della Nazionale stende tutto: polemiche, dubbi, infortuni, colori di club. Un’uniforme d’onore che Paolo indossa come se l’avesse cucita addosso da sempre. E una volta dentro quegli stadi roventi, succede qualcosa di inspiegabile: mentre gli altri si muovono, lui sembra danzare. Come se avesse qualche secondo in più, una lucidità tutta sua, un tempo diverso. Gli altri corrono, lui scrive la leggenda.

Tre al Brasile. Due alla Polonia. Uno alla Germania. Sei colpi da maestro. Sei firme a suggellare il mito. Il mondo si ferma a guardare. L’Italia impazzisce. Paolo diventa un supereroe nazionale, ma con le scarpe sporche di erba e un’aria da bravo ragazzo. Uno che segna e non se la tira.

E quando la leggenda si fa pop, la pubblicità bussa. Anzi, sfonda la porta. Già aveva fatto diventare iconiche le Ciak, ma dopo il Mondiale è tutta un’altra musica. Se un prodotto lo pubblicizza Paolo Rossi, allora quel prodotto è da campioni. Punto.

Il suo viso gentile e i suoi occhi da eterno ragazzo cominciano a spuntare ovunque: nei cartelloni pubblicitari, nei jingle, in TV. È testimonial, volto noto, riferimento pop. Indossa un giubbotto Conbipel, un paio di jeans Mash o una tuta Seb Sport con più stile di un modello di Milano Moda Uomo, entra nelle scuole con Dossena a dire “bevete più latte (Polenghi), ragazzi” con la serietà di chi ha appena zittito Zico. Morde Galatine come fossero barrette energetiche. Ma il capolavoro è lui, Paolorossilatteecacao da dire e da bere tutto d’un fiato, improvvisamente una bevanda diventa un rito nazionale. Con la cannuccia piantata nel cartoncino triangolare, Paolo entra nelle merende degli italiani.

Recitazione scolastica? Forse. Ma a lui che importa? Stava al gioco con la stessa leggerezza con cui smarcava difensori. Senza pose, senza agenti isterici. Con naturalezza. Perché i calciatori di allora non navigavano nell’oro, e quei contratti pubblicitari facevano comodo. Ma Paolo non si è mai venduto. Si è solo messo in gioco, di nuovo. Come sempre.

E poi il tempo passa, certo. Ma il mito resta vivo. Perché se hai fatto piangere il Brasile, puoi anche riderci sopra dopo trent’anni. E allora eccolo, nel 2014, nello spot Visa: sguardo dritto in camera, battuta pronta, presenza che buca. Nel 2016 lo ritroviamo da MediaWorld, ironico e disinvolto, mentre si diverte come un ragazzino. Perché un fantasista è uno che sa stare ovunque: in campo, in uno spot, in una battuta. Con naturalezza. Con grazia.

Paolo Rossi non è stato solo un bomber. È stato una scintilla dentro un’epoca. Un uomo che ha fatto della sua umiltà un’arma e della sua storia un simbolo. Ha segnato per l’Italia, ha vinto per tutti, ha brillato anche fuori dal campo. E ha fatto luccicare perfino un brick di latte e cacao. E adesso la pubblicità!

IL SOGNO

Sono un brik di latte, Brik Polenghi, per gli amici. Triangolare, compatto, sempre fresco. Sono un cartoncino da latte e cacao, ma non uno qualunque. No no, io sono IL brik. Quello leggendario. Quello di paolorossilatteecacao, tutto d’un fiato, come un gol al novantesimo.

Lo so, oggi siete abituati a bottiglie bio, bicchieri smart, cannuccioni di carta che si sfaldano dopo due sorsi. Pfff. Ai miei tempi si faceva sul serio. Io ero solido, elegante, con quella forma a triangolo isoscele che faceva girare la testa ai tetrapak. E soprattutto, avevo lui. Paolo.

Sì, quel Paolo. Paolo Rossi. Il bomber mondiale. L’unico uomo al mondo che poteva stendere il Brasile e poi promuovere me — me! — con lo stesso carisma. Quando appariva in tv e diceva “latte e cacao Polenghi”, io brillavo di orgoglio, sostenuto da quel jingle bellissimo che canticchiano ancora i ragazzi di tanti anni fa.

Altro che Champions League. Altro che sponsor sulle maglie. Io avevo la faccia di un campione mondiale stampata nell’anima.

Ricordo ancora quei giorni: milioni di bambini, tutti con me in mano, cannuccia infilata col colpo secco, un sorso e via a immaginarsi in campo. Paolo segnava, e loro segnavano con me. Io non ero solo una merenda. Ero sogno liquido, zucchero e mito in formato tascabile. Poi, certo, sono arrivati i tempi moderni. Mi hanno pensionato per motivi di "packaging sostenibile". Bah. Ma io lo so che in fondo, nei ricordi di chi c’era, nessuno ha dimenticato il gusto del successo. Il suono della cannuccia che fora il cartoncino. Il profumo del cacao mentre guardavi la tv sperando in un replay di Rossi che zittisce il Brasile.

E allora ogni tanto, quando passa uno scaffale nostalgico, qualcuno si ferma e sussurra: “Te lo ricordi? Paolorossilatteecacao...”

Io sì che me lo ricordo. E non smetterò mai di dirlo: io ho giocato in Nazionale. Da frigo, certo. Ma c’ero.