Tempo fa Francesco Sessa, per Gazzetta.it, ha definito Paolorossi un’icona pop. La definizione non è difficile argomentare: Pablito è entrato nell’immaginario pop italiano con la naturalezza con cui lo hanno fatto la Gioconda, il Colosseo e Volare – che in realtà si intitola Nel blu, dipinto di blu, ma in fin dei conti anche lui, dopo il mondiale del 1978, è stato ribattezzato con il nome di Pablito.
Ci sono state mostre che hanno raccontato l’Italia e in cui Pablito è entrato di diritto, come quella intitolata “Noi – Non erano solo canzonette” e che racconta 25 anni di storia italiana attraverso la musica – da chi la fa a chi la ispira –; 25 anni racchiusi fra “due abbracci, quello di Domenico Modugno sul palco di Sanremo 1958 e quello di Paolo Rossi nella notte di Madrid”.
L’immagine è tratta dalla pagina Instagram ufficiale di “Noi – Non erano solo canzonette”
Tra le mostre dedicate in modo più diretto a Paolorossi ci sono “Pablito Great Italian Emotions” e “Paolo Rossi, il ragazzo d’oro e le leggende del calcio”: esposizioni itineranti che hanno viaggiato in lungo e in largo e che, mettendo insieme le tappe, hanno toccato in ordine sparso città come la sua Prato, Gaiole in Chianti, Firenze, Vicenza, Perugia, Torino, Roma, Milano, Sirmione, Trento, Rimini, Bologna, Cesenatico, Venezia, Senigallia, e ancora Belgrado, Zurigo, Tirana, Skopje e Fiume.
E poi c’è il cinema, con i documentari È stato tutto bello – Storia di Paolino e Pablito, con la regia di Walter Veltroni, e Paolo Rossi. Un campione è un sognatore che non si arrende mai, di Gianluca Fellini e Michela Scolari.
Più di tutto, però, ciò che a prima vista sorprende (ma che a conoscere Pablito viene del tutto naturale) è la presenza di Paolorossi nella scena musicale italiana, protagonista sia dei testi, sia dei palcoscenici.
Nel primo caso lo vediamo per esempio abitare L’italiano di Stefano Rossi (Ma la domenica problemi grossi, segna Giordano, segna Paolorossi) e più recentemente Reale, di J-Ax (Ti senti Pablito, ma per i selfie a petto nudo fai la lipo).
Tuttavia il caso più eclatante forse è quello che finisce con una dedica sul panama di Antonello Venditti.
Era il sessantesimo compleanno di Pablito quando Venditti gli ha regalato il proprio cappello con una dedica che dice “Paolorossi, un ragazzo come noi”.
La storia è presto detta: nel 1986 esce l’album Venditti e segreti e tra le tracce che contiene c’è Giulio Cesare. In questo pezzo un po’ coming of age Venditti canta che era l’anno dei mondiali, quelli dell’86, Paolo Rossi era un ragazzo come noi. Be’, la verità è che nella cronaca e nelle intenzioni iniziali di Venditti quel Paolo Rossi era un ragazzo rimasto ucciso durante le contestazioni universitarie del 1966, ma il caso di omonimia e gli stadi (sia per le partite, sia per i concerti) hanno sovrapposto a quel nome l’immagine del campione del mondo e pallone d’oro del 1982.
È stato lo stesso Venditti, da un certo punto in avanti, ad abbracciare la versione calcistica, senza per questo oscurare le intenzioni iniziali ma raccontando come siano state le persone a rimodellare la canzone in omaggio a un eroe mondiale.
In occasione del sessantesimo compleanno di Pablito, Antonello Venditti lo ha invitato a salire sul palco insieme a lui e gli ha regalato quel panama con dedica, confermando la nuova vita di quelle sue parole. Ancora oggi quando Venditti canta Giulio Cesare negli stadi, in quel passaggio, le persone si alzano in piedi e applaudono in un duplice tributo, a Venditti e a Paolorossi, un ragazzo come noi. D’oro, ma come noi.