Si ritagli un pezzo di cielo notturno e lo si adagi in
terra. Per agevolare l’osservazione si consiglia di
ritagliarne una figura di geometria piana, per esempio un
quadrilatero, meglio ancora se convesso, magari un
parallelogramma.
In una notte di luglio del 1982, nei pressi di una spiaggia di Barcellona, Aureliano prese in prestito le forbici da sarta della mamma e salì sulla scaletta di corda che usava per arrivare in cima al castagno del giardino, da cui vedeva tutto. Dovette sporgersi solo un po’ per afferrare un lembo di cielo, affondare la punta delle forbici nel blu e, in men che non si dica, si mise a tagliare.
Zac zac zac, tagliava e tagliava, dritto come la traiettoria di uno sguardo. Le forbici scorrevano fluide nel manto celeste al punto che quando si fermò scoprì di aver tagliato parecchio, il primo lato misurava 105 metri. Cavoli, si disse Aureliano, mi sono fatto prendere la mano. Rise: era ora di girare per il secondo lato. Calcolò novanta gradi e tagliò ancora, finché non gli parve di intravedere un rettangolo di proporzioni a lui gradite. Misurò: 70 metri. Ma tu guarda, pensò, è uscito grande come un campo di calcio.
Si avvolse il rettangolo di cielo attorno al braccio, mise le forbici nella tasca posteriore dei calzoni e ridiscese attraverso i rami del castagno fino alla scaletta di corda e poi a terra.
Cercò un posto abbastanza grande per distendere il cielo e iniziare l’osservazione dello smisurato nel misurabile.
Provò sulla Rambla: ci stava di lunghezza ma con la larghezza non c’eravamo.
Tentò alla Sagrada Familia e, in effetti, ci sarebbe entrato benissimo se non fosse che la basilica aveva già quel bosco di colonne, il limite delle pareti, la pianta a forma di croce.
Desiderò avere il suo castagno a portata di mano, per salirvi su e dare un’occhiata dall’alto: dove accidenti poteva stendere quel pezzo di cielo?
Aureliano non si lasciò distrarre dalla bellezza, aveva bene impresso l’obiettivo: osservare quali conseguenze c’erano – se ce n’erano - nel chiudere lo smisurato nel misurabile.
Nel campo di cielo, quelle stelle dai piedi ben piantati a terra e animate da un desiderio sconfinato misero in crisi l’equilibrio del sistema: bastarono cinque minuti di osservazione perché Aureliano capisse quale fosse la stella da tenere d’occhio. Ne ebbe la conferma al quinto, al venticinquesimo e poi ancora al settantaquattresimo minuto di osservazione.
Notò poi che il cielo, per quanto ritagliato a modo da Aureliano, nel Sarrià ci stava stretto, pulsava e scalpitava per tornare a fare il cielo. Resse in terra novantuno minuti e poi, elegante ma impetuoso, tornò a fare il cielo lasciando una traccia dietro di sé. Una delle stelle rimase impigliata all’erba: a riallacciarsi gli scarpini, ad asciugarsi il sudore. Sotto lo sguardo ammaliato di Aureliano, la stella rimasta in campo alzò gli occhi e li puntò a quel cielo da cui proveniva, con un desiderio tanto forte da brillargli addosso. Aureliano la riconobbe, era quella conseguenza del chiudere lo smisurato nel misurabile, e la chiamò Paolorossi.