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È il Sedicesimo secolo, pieno Rinascimento, quando alcune famiglie di artigiani, spazzacamini e venditori di chincaglierie della Val Vigezzo, attuale Piemonte, prendono gli attrezzi dei loro mestieri e si incamminano alla volta di Parigi.

La vita da immigrati non è mai stata semplice, ma Parigi è la città della nobiltà e alcuni di quei migranti trovano lavoro nei dintorni di palazzi reali e personalità.

Il tempo passa e un giorno uno dei piccoli spazzacamini che lavoravano al Louvre si infila nella canna fumaria sbagliata, e finisce con l’ascoltare suo malgrado una conversazione più che privata: un complotto ai danni di Luigi XIII, giovane figlio della regina Maria de’ Medici.

Lo spazzacamino fa di tutto per ottenere un colloquio con la regina e svelare ciò che aveva udito e, alla fine, ci riesce. Non solo: viene fuori che aveva ragione!

Maria de’ Medici, riconoscente, prende una decisione che a suo modo, secoli dopo, toccherà anche la vita di Paolorossi: decide di concedere a quelle famiglie di migranti la possibilità di commerciare liberamente le loro merci ed esercitare le loro professioni in tutta la Francia, per sempre.

Tra le famiglie beneficiarie di questo privilegio ci sono i Mellerio.

Passa altra acqua sotto ai ponti della Senna e, nel Diciottesimo secolo, uno dei Mellerio – si chiama Jean-Baptiste – finisce col vendere gioielli nei pressi dell’ingresso di Versailles. Il passaggio dei reali è frequente e i monili di Jean-Baptiste catturano l’interesse di Maria Antonietta in persona. Come fu o come non fu, tra simpatie e competenze, con il tempo i Mellerio divennero fornitori ufficiali della corona e di tutto l’entourage, arrivando fino ai Bonaparte e finendo nei forzieri e nei portagioie di quasi tutta la nobiltà europea, oltre che di alte personalità della cultura e della diplomazia. Per secoli.

L’arte orafa della famiglia Mellerio è già ampiamente riconosciuta quando nel 1956, anno di nascita di Pablito, viene istituito il prestigioso riconoscimento del Ballon d’Or, il pallone d’oro, e da allora è proprio la Maison Mellerio a realizzare il trofeo, in modo rigorosamente artigianale e con l’esperienza di alta oreficeria di cui si nutre da secoli.

Ora il trofeo è più grande rispetto a come veniva fatto in passato, ma il processo con cui viene realizzato è rimasto fedele nel tempo: 100 ore di lavoro distribuite nei sei mesi precedenti la consegna.

Due semisfere d’ottone vengono saldate tra loro ma l’orafo ha cura di creare un piccolo foro che permetterà di assicurare il pallone alla sua base, che oggi è un cristallo di pirite. Una volta saldate insieme le due semisfere, il pallone passa nelle mani del cesellatore che prima lo riempie con una polvere di cemento e poi inizia il lavoro minuzioso per riprodurre le cuciture del cuoio. La placcatura d’oro è solo una delle fasi finali del lavoro: l’ultimo passo riguarda il nome del vincitore che, una volta decretato, viene inciso su una placca dorata da fissare alla base del trofeo.

Nel 1982, il nome da incidere fu quello di Paolo Rossi che, con l’unicità che lo ha sempre contraddistinto e con tempi sorprendenti, ha provveduto a personalizzare ulteriormente il trofeo già raro di suo. Un giorno, in quel di Vicenza, le Ballon d’Or gli è scivolato dalle mani. Ci piace pensare che sia rimbalzato e che Pablito lo abbia palleggiato un po’, Re Mida del calcio, capace di trasformare in oro molti dei palloni ricevuti, stavolta letteralmente. Quello che resta è un pallone d’oro imperfetto ma unico, che porta il segno di quel suo gioco mitologico, una delle testimonianze del passaggio concreto di Pablito su questo pianeta di tifosi.