C’era un tempo – non secoli fa, ma abbastanza lontano da
sembrare un’altra epoca – in cui per mandare un messaggio non
bastava un pollice e uno schermo.
Servivano carta, una penna, un pensiero e un minimo di calligrafia decente. Soprattutto, serviva tempo. Quel tempo che oggi ci sfugge, ma che allora si dedicava con cura a scrivere una cartolina: un’immagine da un luogo lontano, due righe fitte, spesso con la scrittura che andava anche in verticale quando lo spazio finiva. “Qui tutto bene. Il mare è splendido. Vi penso.” Bastava questo. Era un gesto semplice, ma potente: significava “ti ho pensato anche mentre ero lontano”.
Paolo Rossi era uno di quelli che pensavano. Che scrivevano. Che mandava notizie, non status. Lo faceva già da ragazzo, quando indossava la divisa dei bersaglieri e correva più lì che in campo. Era giovanissimo, lontano da casa, e le sue cartoline partivano precise come i suoi gol. Poche righe per dire “Sto bene”, un gesto premuroso e affettuoso, altro che “tutto ok” con le emoji.
Poi arrivò il calcio. Quello vero. Le trasferte, le tournée, le interviste in lingue che non capiva ma imparava al volo, i gol. E le cartoline continuarono a partire. Da Buenos Aires, da Parigi, da Madrid. In ogni angolo del mondo dove metteva piede, Paolo si ricordava di scrivere a casa. Non per dovere, ma per amore. Perché in quel piccolo rettangolo di cartone si potevano infilare affetto, nostalgia, emozione. Per lui comunicare era condividere, non notificare.
Naturalmente, ogni cartolina aveva bisogno di un francobollo. Eh già, quel piccolo quadratino adesivo che non solo dava il via alla spedizione, ma a volte era anche più bello della cartolina stessa. Un mini-capolavoro: c’erano animali, monumenti, perfino farfalle in rilievo. I francobolli celebravano la storia, la scienza, la natura e le persone. Alcune, le più speciali, finivano proprio lì, stampati per sempre con dentellatura regolare in pochi centimetri quadrati.
E tra quei volti illustri, chi troviamo? Proprio lui,
Paolo Rossi. Non uno, non due, ma una valanga di
francobolli in suo onore. E mica solo in Italia, ma
anche – udite udite – in:
Mali,
Paraguay,
Uganda, Maldive, Dominica, Corea del Nord, Togo, Guinea
Bissau, Mozambico, Congo, Mongolia,
Repubblica Centrafricana, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine,
Gambia, Ciad,
Grenada, Spagna, Algeria, Messico, Guyana, Liberia.
Un’ONU di francobolli, praticamente. Una lista che sembra uscita da un atlante scolastico, e invece è la mappa dell’omaggio globale a un uomo che, con le sue giocate e il suo volto buono, ha fatto innamorare il mondo intero. È come se il mondo intero avesse detto: “Questo ragazzo con la maglia azzurra e i gol impossibili è anche un po’ nostro.” Una gloria italiana adottata da decine di nazioni, ognuna con il suo stile, i suoi colori, e adesso… il suo Paolo Rossi. Un onore gigantesco, un po’ curioso perché una gloria tutta italiana viene adottata come eroe da nazioni lontanissime.
E allora ti immagini un turista in viaggio in Uganda che compra una cartolina e sceglie proprio il francobollo con Paolo Rossi. Magari non sa nemmeno chi sia, ma quel sorriso, quella maglia azzurra, quel nome, lo conquistano. Oppure un collezionista a Nevis che sfoglia il suo album e trova “Pablito” vicino a Mandela o a una farfalla tropicale. In quelle immagini c’è un eroe globale, ma anche quell’uomo che scriveva ai suoi da militare, che non dimenticava mai di mandare notizie.
Insomma, Pablito è entrato nel mito anche via posta. E chissà, forse ancora oggi, con tutta la sua gentilezza e quel suo sorriso da bravo ragazzo, ci manderebbe una cartolina.
Chissà cosa ci scriverebbe sopra?
"Qui tutto bene. Il cielo è sereno. Vi penso. Sempre."
Francobollo incluso, ovviamente.
Eccomi qui: piccolo, rettangolare, dentellato… e osannato! Ho il viso di Paolo Rossi stampato addosso da quando sono nato — e diciamolo: non poteva andarmi meglio. C’è chi finisce con sopra un’anatra, chi con un fiore tropicale. Io? Io sono un francobollo con Pablito. Classe, storia e una leggera tendenza a farmi incorniciare.
Non fatevi ingannare dalle dimensioni: sono piccolo, sì — ma peso! Peso d’Italia ’82, di gol al Brasile, di lacrime di gioia. E mentre i vostri telefoni si fondono tra notifiche e selfie, io, con 3 cm per 2, consegno emozioni dal Ciad a Napoli, da Dominica a Mantova. Senza batter ciglio. Con dignità. E con colla.
Sono nato in posti incredibili: Maldive, Paraguay, Mali, Congo… mica solo a Roma. Paolo Rossi è stato celebrato su di me in mezzo mondo. E io, modestamente, lo porto in giro appiccicato a cartoline che dicono: “Ti penso. Ti scrivo. Ti mando Pablito.”
Ah, e se per caso vi sfugge la portata del mio ruolo… sappiate che il 9 ottobre è la Giornata Mondiale della Posta. Una celebrazione ufficiale dal 1874, voluta dall’Unione Postale Universale. Il mio giorno. Il mio red carpet. E quando arrivo io, le email si mettono in fila.
Vi rendete conto? Paolo Rossi — l’uomo che ha fatto piangere Zico e cantare l’Italia intera — finisce sopra di me. E io lo porto ovunque: tra sabbia, palme e sogni in bianco e nero.
Sono un francobollo. Ma sono anche un tributo in miniatura a un gigante.
E se vi capita di ricevermi… trattatemi bene.
Sono raro, delicato.
E con Paolo addosso, pure un po’ immortale.