Per parlare del rapporto fra Paolo Rossi e Torino iniziamo da
qui: è l’11 luglio 1982 quando i Rolling Stones tengono il
loro primo concerto in Italia, dal 1970. Lo fanno allo Stadio
comunale di Torino, dove Pablito aveva giocato e segnato con
la Juventus.
Mick Jagger indossa la maglietta numero 20 della Nazionale italiana, si fa prelevare da una gru fasciata con il tricolore e si alza venti metri sopra il campo. Predice che l’Italia sconfiggerà la Germania per 3 a 1 alla finale dei mondiali di Spagna. E questo è esattamente ciò che avverrà.
La storia di Paolo Rossi è una storia di realismo magico, di intuizioni, di premonizioni. Questa è particolarmente affascinante perché avviane, da un moderno pulpito, pronunciata da un dio della musica, nella cattedrale dello stadio che aveva visto, tre mesi prima, rientrare Paolo al calcio giocato dopo le ingiustizie subite. Paolo era riuscito a giocare tre partite del campionato 1981/82 al termine della squalifica: era rientrato a Udine, il 2 maggio 1982, segnando anche un gol. E poi era riapparso di fronte ai tifosi bianconeri, il 9 maggio 1982 contro il Napoli, match finito 0-0.
All’inizio della partita alcuni tifosi erano sfilati sulla pista d’atletica del Comunale, con uno striscione: “Bentornato Rossi”. Era la penultima di campionato, quel mezzo passo falso permise alla Fiorentina di riagganciare la Juve: ultima giornata Catanzaro-Juventus finisce 0-1 con un rigore di Brady a 15 minuti dalla fine, mentre la Fiorentina non riesce a superare il Cagliari in trasferta. La Juventus vince il suo Scudetto numero 20, quello della seconda stella. Dopo quell’unica apparizione sul prato del Comunale di Torino, prima di Mick Jagger, Paolo - fra la sorpresa generale - viene convocato da Enzo Bearzot in Nazionale, ma parte male:
"Ero un fantasma, ma la fiducia dei compagni e del Ct mi hanno dato una carica eccezionale. I ragazzi scherzavano sul fatto che mi reggessi a stento in piedi. Per lo stress ero dimagrito cinque chili. E ricordo che il cuoco tutte le sere mi portava in camera un bicchiere di latte e una brioche. Finita ogni gara Bearzot mi diceva: “Stai tranquillo, ora preparati per la prossima".
Come è andata a finire lo sappiamo tutti, ma la storia di Paolo Rossi a Torino incomincia nel 1972. Aveva 16 anni.
"Non è stato facile, i miei erano contrari. Scottati dall'esperienza di mio fratello Rossano, anche lui in bianconero, ma rispedito a casa dopo appena un anno. Mio padre consigliò al Cattolica Virtus di Prato di sparare una cifra alta per dissuadere i dirigenti juventini, ma non ci fu verso: per quattordici milioni e mezzo faccio la valigia".
A Torino, però, il suo percorso nelle varie selezioni
giovanili viene interrotto da una serie impressionante
di infortuni. Il 1º maggio 1974, non ancora diciottenne,
esordisce finalmente in prima squadra, contro il Cesena,
in Coppa Italia: gioca per la prima volta con Dino Zoff,
Claudio Gentile e Franco Causio, con cui poi si sarebbe
laureato campione del mondo.
Il ragazzo
fragile, che all’inizio degli anni ’70,
prendeva la corriera per andare ad allenarsi a Villar
Perosa, dopo la gavetta al Como, l’esplosione al Lanerossi
Vicenza, e l’esperienza di Perugia, alla
Juventus
tornerà da uomo, provato dall’ingiustizia subita. Dopo
due anni infernali, arriverà di nuovo una telefonata da
Torino, alla cornetta il Presidente Boniperti:
"Verrai con noi in ritiro, ti allenerai con gli altri, anzi più degli altri".
Paolo si sente di nuovo calciatore, quella lettera di convocazione che dice di presentarsi con i capelli corti e cosa mangiare e bere lo fa rinascere.
Con i bianconeri scenderà in campo 83 volte, segnerà 24 gol, vincerà due Scudetti, una Coppa Italia e una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Uefa e una Coppa dei Campioni, quella maledetta dell’Heysel. La Juventus diventerà, con lui, la prima squadra a vincere tutte le coppe europee e lui, soprattutto, in maglia bianconera, incontrerà due amici fraterni ed eterni: Paolo Cabrini Marco Tardelli.